Seppur non pronunciata in tempi recenti, la sentenza in oggetto è meritevole di particolare attenzione perchè esprime in modo chiaro una serie di concetti fondamentali per la comprensione del marketing legale e dei suoi limiti.
Con questo provvedimento le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nel confermare una giurisprudenza costante del Consiglio Nazionale Forense, precisano che commette illecito deontologico l’avvocato che riporta i nomi dei propri clienti sul suo sito web, anche se questi hanno espresso specifico consenso.
La ragione posta alla base della decisione è da ricondursi alla valenza anche pubblicistica della professione forense.
Se è vero, infatti, che un processo non può essere celebrato senza l’intervento di un avvocato, quest’ultimo non è solamente un libero professionista, ma anche un partecipe necessario dell’esercizio della funzione giurisdizionale
L’obbligatorietà della difesa tecnica in ambito penale e l’ampiezza dei poteri e degli obblighi previsti nelle procure alle liti in sede civile impediscono, dunque, di qualificare l’attività dell’avvocato come attività meramente privatistica e legittimano alcune limitazioni all’autonomia contrattuale.
Ne consegue che il rapporto tra cliente e avvocato non può venire ricondotto a una mera logica di mercato, ma impone maggiore cautela, in particolare nel campo del marketing, in considerazione del fatto che la pubblicità circa i nominativi dei clienti potrebbe finire per riguardare anche l’attività processuale svolta in loro difesa e, dunque, una vicenda giudiziale non ancora conclusasi.
Seppure il codice di procedura penale preveda, in casi determinati e secondo precise tempistiche, la possibilità di portare a conoscenza del pubblico il contenuto di un processo o del suo atto conclusivo, tale conoscenza, seppur indiretta, non è ammissibile quando è riconducibile a un’attività di propaganda diretta a ottenere il favore della collettività e ad attrarre potenziali nuovi clienti.